L'evento che da un anno spaventava sia Bruxelles che i
mercati finanziari di mezzo mondo alla fine si è verificato: tramite un
referendum popolare, il Regno Unito ha deciso di dire addio all'Unione Europea.
Questo abbandono rappresenta senza dubbio un evento storico.
Mai prima di oggi, infatti, uno Stato aveva deciso di abbandonare l'Unione
Europea. Questo risultato rischia di dare il via a un pericoloso effetto
domino. Poche ore dopo la comunicazione dei dati ufficiali, già l'olandese Wilders
e la francese Marine Le Pen hanno paventato l'ipotesi di referendum simili nei
rispettivi Stati. Ipotesi, questa, non totalmente da escludere.
Ma da dove partire per analizzare un fatto di tale portata?
Magari dai dati, che possono dirci già qualcosa. Il "Leave" ha vinto,
questo è assodato, ma non con un consenso strabiliante. La forbice tra il
"Leave" e il "Remain" è davvero sottile: 51.9 contro 48.1.
Purtroppo, però, i referendum funzionano così: basta il 50%+1 per vincere. Se
il fronte di Farage avesse prevalso con il 50.01% dei voti, la Brexit sarebbe
comunque diventata realtà, e nessuno avrebbe potuto contestare.
Un altro aspetto
interessante da tenere a mente è, pare, che il "Leave" ha convinto
soprattutto l'elettorato più anziano e quello con un livello di istruzione meno
elevato. Le statistiche direbbero così. Diventa quindi facile, per qualcuno,
asserire che la Brexit è stata determinata da individui che con buona
probabilità non vivranno altri quattro o cinque anni e da ignoranti che si sono
fatti abbindolare dalla propaganda populista e xenofoba di Nigel
Farage.
Il che è vero, ma
solamente in parte. I giovani britannici avranno anche votato in modo quasi
compatto per il "Remain" ma... in pochi si sono presentati alle urne.
Già alle elezioni generali dell'anno scorso solo il quarantatre per cento dei
giovani aventi diritto di voto espresse davvero la propria preferenza, contro
il settantotto per cento dei pensionati. Un dato che sembra paradossale. I
giovani inglesi preferiscono far decidere del loro futuro a persone che, con
buona probabilità, entro cinque anni saranno sotto terra. Da questo fenomeno si
possono, a mio modo di vedere, trarre due conclusioni. Numero uno: i giovani
inglesi hanno scarso senso civico. Numero due: a una discreta parte dei giovani
inglesi non interessava poi così tanto rimanere in Europa. Il Regno Unito,
quindi, esce da questa esperienza molto disunito, sia dal punto di vista
anagrafico che dal punto di vista politico. Scozia e Irlanda del Nord, in cui
ha vinto il fronte del "Remain", minacciano già la secessione da
Londra.
E veniamo adesso ad un'altra questione che sta dividendo
l'opinione pubblica in queste ore. Come già ricordato, la maggioranza di coloro
che hanno scelto il "Leave" ha un titolo di studio basso. Una scelta
consapevole a favore o contro la Brexit avrebbe dovuto implicare, negli
elettori inglesi, una consapevolezza storica, economica e politica che
sicuramente molti non avevano. Da qui, nasce spontanea una domanda: è giusto
lasciare una decisione di questo genere a un elettorato impreparato?
Difficile rispondere positivamente. In Italia, ad esempio,
una cosa di questo genere difficilmente potrebbe avvenire. L'articolo 75 della
nostra costituzione, infatti, vieta che possano essere indetti referendum nelle
seguenti materie: leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Tuttavia, credere che
la Brexit sia stata causata esclusivamente dall'ignoranza e dalla xenofobia
delle formazioni di destra, è come credere alla retorica salviniana secondo la
quale la crisi dei migranti è dovuta ai buonisti e alle cooperative rosse. Osservare
il dito che indica la luna e non la luna, per intenderci.
Qui, mi permetto di
esprimere qualche considerazione più personale. In primis, non comprendo tutto
questo stupore nei confronti della Brexit. Il Regno Unito storicamente,
infatti, non ha giocato un ruolo importantissimo nel processo di integrazione
europea. Non c'era, quando nel 1951 venivano firmati i Trattati di Parigi con
cui veniva istituita la CECA; non c'era nel 1957, quando con i trattati di Roma
nasceva la CEE; è arrivato solamente nel 1973. Da quel momento, ha applicato
delle politiche contrarie ad un aumento dei poteri della Comunità e ha adottato
la logica del cherry-picking. Cioè, ha potuto decidere di volta in volta cosa
accettare o non accettare della legislazione europea. Infatti, giusto per
citare qualche esempio, ha aborrito la moneta unica, ha scartato il Fiscal
Compact, ha aderito a Schengen ma con delle logiche tutte particolari. Come ha
giustamente fatto notare qualche analista, il Regno Unito ha ricevuto
dall'Europa più di quanto abbia dato.
La fuoriuscita della
Gran Bretagna dalla UE potrà essere additata anche ai non-laureati britannici che
magari si sono fatti prendere dalla paura o dalla demagogia. Ma è innegabile
che il comune sentimento anti-europeo che tocca il Regno Unito e ormai tutti
gli Stati dell'Unione è da additare allora a quei laureati, quindi teoricamente
esperti e preparati, che siedono nelle istituzioni europee e hanno preso, nel
tempo, delle scelte a dir poco aberranti. A Rai News 24 oggi l'ex premier Enrico Letta
ha sottolineato come le nuove sfide del mondo globalizzato, come la concorrenza
dei prodotti dei paesi del BRICS, la sicurezza, la disoccupazione giovanile,
possano essere vinte solamente con una Europa unita. Cosa teoricamente giusta. Peccato
che sia da almeno quindici anni che l'Europa combatte queste sfide e,
puntualmente, le perde, perché prende le decisioni sbagliate.
Come è pensabile, per esempio, combattere la concorrenza dei
prodotti cinesi soffocando l'economia con vincoli fiscali estremamente
restrittivi? Che soffocano l'innovazione, lo sviluppo, gli investimenti,
l'occupazione, in nome di questo mito sacro del pareggio del bilancio? La crisi
del 2007-2008 è arrivata dagli USA, senza dubbio, ma è stata amplificata da
scelte bizzarre degli organi comunitari, questo non è un mistero. Come è
pensabile gestire la questione dei migranti (di certo non nata ieri) se non si
riesce ancora a trovare un accordo sulla faccenda? La sfida della sicurezza,
come mostrano gli eventi recenti, è tutt'altro che vinta.
L'addio della Gran
Bretagna ci lancia un messaggio forte e chiaro: questa Unione Europea, così
com'è, non va bene. Perché, pur nata e animata da idee buone, è portata avanti da
politiche economiche e sociali discutibili.
Eppure, gli Stati
europei hanno bisogno dell'Unione. Perché? Sembrerà una banalità, ma la storia
ci dice questo: per mantenere la pace. La storia del continente europeo è
infatti, a partire dalla pace di Westfalia del 1648 ma in realtà anche da prima,
la storia di Stati nazionali che ora per un motivo e ora per un altro scendono in
campo e si fanno la guerra. Inghilterra contro Francia, Francia contro
Germania, Spagna contro Regno Unito, Italia contro Austria e l'elenco potrebbe
proseguire all'infinito. Il più lungo periodo di pace per l'Europa lo si è
avuto, guarda caso, proprio da quando è iniziato il processo di integrazione
europea.
Insomma, l'Europa non
dovrebbe ripensare ai propri fondamentali, ma alle sue pratiche. Le politiche
scellerate degli organi di Bruxelles alimentano i populismi delle diverse
nazioni e rischiano di distruggere ciò che è stato fatto di buoni fino a qui.
E, soprattutto, rischiano, in futuro, di far riprecipitare il Continente nel
suo passato sanguinario. Questo è l'urlo che ci lancia il Regno Unito
oggi:"Europa, cambia, finché sei in tempo".