venerdì 24 giugno 2016

Brexit, un grido lanciato all'Unione Europea



L'evento che da un anno spaventava sia Bruxelles che i mercati finanziari di mezzo mondo alla fine si è verificato: tramite un referendum popolare, il Regno Unito ha deciso di dire addio all'Unione Europea.

Questo abbandono rappresenta senza dubbio un evento storico. Mai prima di oggi, infatti, uno Stato aveva deciso di abbandonare l'Unione Europea. Questo risultato rischia di dare il via a un pericoloso effetto domino. Poche ore dopo la comunicazione dei dati ufficiali, già l'olandese Wilders e la francese Marine Le Pen hanno paventato l'ipotesi di referendum simili nei rispettivi Stati. Ipotesi, questa, non totalmente da escludere.

Ma da dove partire per analizzare un fatto di tale portata? Magari dai dati, che possono dirci già qualcosa. Il "Leave" ha vinto, questo è assodato, ma non con un consenso strabiliante. La forbice tra il "Leave" e il "Remain" è davvero sottile: 51.9 contro 48.1. Purtroppo, però, i referendum funzionano così: basta il 50%+1 per vincere. Se il fronte di Farage avesse prevalso con il 50.01% dei voti, la Brexit sarebbe comunque diventata realtà, e nessuno avrebbe potuto contestare.

 Un altro aspetto interessante da tenere a mente è, pare, che il "Leave" ha convinto soprattutto l'elettorato più anziano e quello con un livello di istruzione meno elevato. Le statistiche direbbero così. Diventa quindi facile, per qualcuno, asserire che la Brexit è stata determinata da individui che con buona probabilità non vivranno altri quattro o cinque anni e da ignoranti che si sono fatti abbindolare dalla propaganda populista e xenofoba di Nigel
Farage.
  
Il che è vero, ma solamente in parte. I giovani britannici avranno anche votato in modo quasi compatto per il "Remain" ma... in pochi si sono presentati alle urne. Già alle elezioni generali dell'anno scorso solo il quarantatre per cento dei giovani aventi diritto di voto espresse davvero la propria preferenza, contro il settantotto per cento dei pensionati. Un dato che sembra paradossale. I giovani inglesi preferiscono far decidere del loro futuro a persone che, con buona probabilità, entro cinque anni saranno sotto terra. Da questo fenomeno si possono, a mio modo di vedere, trarre due conclusioni. Numero uno: i giovani inglesi hanno scarso senso civico. Numero due: a una discreta parte dei giovani inglesi non interessava poi così tanto rimanere in Europa. Il Regno Unito, quindi, esce da questa esperienza molto disunito, sia dal punto di vista anagrafico che dal punto di vista politico. Scozia e Irlanda del Nord, in cui ha vinto il fronte del "Remain", minacciano già la secessione da Londra.

E veniamo adesso ad un'altra questione che sta dividendo l'opinione pubblica in queste ore. Come già ricordato, la maggioranza di coloro che hanno scelto il "Leave" ha un titolo di studio basso. Una scelta consapevole a favore o contro la Brexit avrebbe dovuto implicare, negli elettori inglesi, una consapevolezza storica, economica e politica che sicuramente molti non avevano. Da qui, nasce spontanea una domanda: è giusto lasciare una decisione di questo genere a un elettorato impreparato?
Difficile rispondere positivamente. In Italia, ad esempio, una cosa di questo genere difficilmente potrebbe avvenire. L'articolo 75 della nostra costituzione, infatti, vieta che possano essere indetti referendum nelle seguenti materie: leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
  
Tuttavia, credere che la Brexit sia stata causata esclusivamente dall'ignoranza e dalla xenofobia delle formazioni di destra, è come credere alla retorica salviniana secondo la quale la crisi dei migranti è dovuta ai buonisti e alle cooperative rosse. Osservare il dito che indica la luna e non la luna, per intenderci.
  
Qui, mi permetto di esprimere qualche considerazione più personale. In primis, non comprendo tutto questo stupore nei confronti della Brexit. Il Regno Unito storicamente, infatti, non ha giocato un ruolo importantissimo nel processo di integrazione europea. Non c'era, quando nel 1951 venivano firmati i Trattati di Parigi con cui veniva istituita la CECA; non c'era nel 1957, quando con i trattati di Roma nasceva la CEE; è arrivato solamente nel 1973. Da quel momento, ha applicato delle politiche contrarie ad un aumento dei poteri della Comunità e ha adottato la logica del cherry-picking. Cioè, ha potuto decidere di volta in volta cosa accettare o non accettare della legislazione europea. Infatti, giusto per citare qualche esempio, ha aborrito la moneta unica, ha scartato il Fiscal Compact, ha aderito a Schengen ma con delle logiche tutte particolari. Come ha giustamente fatto notare qualche analista, il Regno Unito ha ricevuto dall'Europa più di quanto abbia dato.

 La fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE potrà essere additata anche ai non-laureati britannici che magari si sono fatti prendere dalla paura o dalla demagogia. Ma è innegabile che il comune sentimento anti-europeo che tocca il Regno Unito e ormai tutti gli Stati dell'Unione è da additare allora a quei laureati, quindi teoricamente esperti e preparati, che siedono nelle istituzioni europee e hanno preso, nel tempo, delle scelte a dir poco aberranti.  A Rai News 24 oggi l'ex premier Enrico Letta ha sottolineato come le nuove sfide del mondo globalizzato, come la concorrenza dei prodotti dei paesi del BRICS, la sicurezza, la disoccupazione giovanile, possano essere vinte solamente con una Europa unita. Cosa teoricamente giusta. Peccato che sia da almeno quindici anni che l'Europa combatte queste sfide e, puntualmente, le perde, perché prende le decisioni sbagliate.

Come è pensabile, per esempio, combattere la concorrenza dei prodotti cinesi soffocando l'economia con vincoli fiscali estremamente restrittivi? Che soffocano l'innovazione, lo sviluppo, gli investimenti, l'occupazione, in nome di questo mito sacro del pareggio del bilancio? La crisi del 2007-2008 è arrivata dagli USA, senza dubbio, ma è stata amplificata da scelte bizzarre degli organi comunitari, questo non è un mistero. Come è pensabile gestire la questione dei migranti (di certo non nata ieri) se non si riesce ancora a trovare un accordo sulla faccenda? La sfida della sicurezza, come mostrano gli eventi recenti, è tutt'altro che vinta.

 L'addio della Gran Bretagna ci lancia un messaggio forte e chiaro: questa Unione Europea, così com'è, non va bene. Perché, pur nata e animata da idee buone, è portata avanti da politiche economiche e sociali discutibili.
  
Eppure, gli Stati europei hanno bisogno dell'Unione. Perché? Sembrerà una banalità, ma la storia ci dice questo: per mantenere la pace. La storia del continente europeo è infatti, a partire dalla pace di Westfalia del 1648 ma in realtà anche da prima, la storia di Stati nazionali che ora per un motivo e ora per un altro scendono in campo e si fanno la guerra. Inghilterra contro Francia, Francia contro Germania, Spagna contro Regno Unito, Italia contro Austria e l'elenco potrebbe proseguire all'infinito. Il più lungo periodo di pace per l'Europa lo si è avuto, guarda caso, proprio da quando è iniziato il processo di integrazione europea.

 Insomma, l'Europa non dovrebbe ripensare ai propri fondamentali, ma alle sue pratiche. Le politiche scellerate degli organi di Bruxelles alimentano i populismi delle diverse nazioni e rischiano di distruggere ciò che è stato fatto di buoni fino a qui. E, soprattutto, rischiano, in futuro, di far riprecipitare il Continente nel suo passato sanguinario. Questo è l'urlo che ci lancia il Regno Unito oggi:"Europa, cambia, finché sei in tempo".

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