La visita di Rohani a Roma ha suscitato polemiche fin
dall'inizio; ossia fin da quando era stato annunciato il viaggio del presidente
iraniano nella nostra Capitale. Rohani è stato etichettato quasi come un
tiranno, come il capo di uno Stato che perseguita gli omosessuali ed esegue,
nel solo 2015, circa 900 condanne a morte. Eppure non è il peggio che si possa
avere. La politica di Rohani si dimostra lontana dagli eccessi di Khomeini e di
Ahmadinejad. Certo, i dissapori con Israele esistono ancora, ma non si parla
più di "cancellare Israele dalle carte geografiche"; l'accordo sul
nucleare si è finalmente trovato e l'Iran non appoggia i fondamentalisti islamici
dell'Isis. A distanza di decenni, finalmente, è possibile instaurare delle
relazioni internazionali più serene con uno Stato chiave negli equilibri medio
orientali.
L'Italia, inoltre, sta per concludere con Teheran accordi
economici per la bellezza di diciassette miliardi di dollari. Una cifra mica
male. Un ospite come Rohani, quindi, va sicuramente trattato con il dovuto
rispetto.
Il rispetto per un ospite, tuttavia, non implica la rinuncia
al rispetto per sé stessi. Se sulla richiesta della delegazione iraniana di non
servire il vino a tavola si può chiudere un occhio (anche se la Francia ha già
dichiarato che non farà lo stesso), sulla censura delle nostre opere d'arte nei
Musei Capitolini passare oltre è difficile.
Che cos'è la politica? È compromesso, avrebbe risposto Mill;
nessuno è depositario di verità universali, per cui il giusto emerge dal
confronto-scontro fra portatori di verità particolari. Le statue dei Musei
Capitolini per noi sono arte, per gli iraniani sono imbarazzanti. Chi ha
ragione? Se partiamo dalla prospettiva di Mill, nessuno dei due. Ed è proprio
per questo motivo che si sarebbe potuto, e dovuto, trovare un equo compromesso
fra le parti in causa. Un esempio? Spostare l'incontro in un altra sala, o
direttamente in un altro palazzo. A Rohani non piacciono i nudi di cavalli e di
donne? Benissimo, che lo si faccia parlare da qualche altre parte, così sono
tutti contenti. Roma, del resto, è piena di palazzi, istituzionali e non, degni
di accogliere con maestosità qualsiasi delegazione straniera.
Da dove deriva, quindi,
la scelta di autocensurarci? Ah, bella domanda: probabilmente la verità non si
saprà mai. Come nel caso dei misteriosi funerali a Casamonica, è già iniziato
lo scaricabarile istituzionale. Franceschini sostiene che lui e Renzi fossero
all'oscuro di tutto. La sovraintendenza capitolina ai beni culturali nega un
proprio coinvolgimento nella vicenda, e dice di rivolgersi a Palazzo Chigi;
quest'ultimo avvia un'indagine al proprio interno per scovare l'inghippo.
La polemica sul
trattamento riservato alle nostre statue non è però fine a sé stessa. Essa
arriva, infatti, in un contesto politico molto delicato. Schengen è sull'orlo
del baratro, i flussi migratori dalla Siria e dalla Libia verso l'Europa sono
in aumento, e i problemi di integrazione fra le comunità europee e quelle
musulmane rischiano di esplodere: Colonia docet. L'integrazione e la reciproca
accettazione fra due culture diverse non dovrebbe comportare la disintegrazione
di nessuna delle due. Autoannullarsi non significa accettare il
"diverso", significa sottomettersi. Se l'Occidente fa del rispetto di
tutte le culture il proprio cavallo di battaglia, dovrebbe iniziare a
rispettare anche quella che conosce meglio: la propria.
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